Super Ebola

Super Ebola

Da: L. Pinna “Cinque ipotesi sulla fine del mondo” Mondadori , Milano 1994, p. 78-80.

“Nybalo, Basangani , 6 dicembre 20…

Guerra e caos sono nuovamente esplosi nel Changa, una nazione dell’Africa sub-sahariana distrutta dalla violenza e dal terrorismo. Centinaia di migliaia di abitanti stanno fuggendo verso i confini alla ricerca di cibo e di rifugio. La guerra civile che ormai imperversa da cinque anni in questo paese, ricco di risorse minerali, ha completamente distrutto l’economia e il governo non è ormai più in grado di assicurare i livelli minimi di sopravvivenza ai suoi cittadini.

Un contingente di pace della Nazioni Unite staziona da due anni in questo paese ma, a causa di recenti problemi sanitari, la sua ulteriore permanenza viene messa in dubbio. Nella forza multinazionale, costituita da australiani, kenioti, italiani, spagnoli, francesi, americani e malesi, si sono manifestati casi di una malattia non identificata simile all’influenza, che ha provocato, inaspettatamente, cinque morti. Altri casi vengono segnalati fra i militari che, finito il turno, sono rientrati in patria.

Nei campi profughi situati nello stato confinante del Basangani, le condizioni igieniche sono pessime e le recenti piogge hanno reso impraticabili le strade. I rifornimenti possono avvenire solo via aerea quando il tempo lo permette. Almeno trecento morti per cause non identificate si sono verificate nei tre campi profughi. I volontari occidentali frustrati per l’inutilità dei loro sforzi, ma soprattutto spaventati da quello che sembra l’inizio di un’epidemia, stanno tornando in Europa e negli Stati Uniti. Alcuni di questi volontari si sono ammalati dopo il rientro.

L’Organizzazione Mondiale della Sanità e altre istituzioni sanitarie come l’Istituto Pasteur di Parigi e i Centers for Disease Control di Atlanta, stanno lavorando 24 ore al giorno per identificare il germe responsabile delle morti e della malattia. L’agente patogeno è diverso da quello di Ebola o di Marburgo ed è molto difficile isolarlo. L’infezione si trasmette sia attraverso il sangue che il fiato, e sembra molto contagiosa. La sintomatologia emorragica ricorda le febbri di Ebola e di Marburgo.”

Questo rapporto da futuro rappresenta solo uno scenario fantastico (così come di fantasia sono i nomi delle nazioni africane) oppure rappresenta una effettiva possibilità?

Al convegno sui “nuovi virus” organizzato dal National Insitute for Health e tenutosi a Washington nel 1989 (NOTA: non e’ un refuso l’anno è il 1989), la massima autorità sanitaria statunitense, alcuni scienziati hanno presentato questa spaventosa ipotesi (non del tutto fantastica perché ricalca abbastanza fedelmente le epidemie di Ebola), per saggiare se il sistema sanitario americano e mondiale fosse grado di reagire prontamente al pericolo di un nuovo virus sinistramente denominato “Super Ebola”.

Il risultato di questa “simulazione” non si è rivelato affatto rassicurante. La mancanza di una rete di sorveglianza sanitaria a livello mondiale rende troppo lenta l’individuazione sia dei nuovi virus, che delle vampate epidemiche, mentre i sistemi ospedalieri nazionali non sono preparati per fronteggiare, con adeguate misure di isolamento, pazienti colpiti da malattie altamente infettive.

Finisce qui la citazione dal libro “Cinque ipotesi sulla fine del mondo” pubblicato nel 1994, nel quale la prima ipotesi è appunto un nuovo virus. La constatazione malinconica è che questi rischi erano stati previsti quasi trent’anni fa e le strategie per la difesa erano state individuate. Una rete di sorveglianza sanitaria a livello mondiale per individuare con tempestività i casi sospetti e fare le analisi di laboratorio del caso (o spedire i campioni biologici a chi è in grado di farle).

L’attuale epidemia di Ebola è iniziata nel novembre-dicembre del 2013, ma solo nel marzo del 2014 si è capito cosa stesse succedendo. Abbiamo dato al virus molti mesi di vantaggio e adesso che la gravità della situazione, non solo per i paesi africani direttamente colpiti ma, potenzialmente, per tutto il pianeta è ormai chiara, la reazione è straordinariamente lenta.

Il rischio di una pandemia è il prezzo della interconnessione e della globalizzazione del pianeta. Ma le difese esistono e non costano nemmeno moltissimo. Negli anni ’90 gli esperti indicavano in 300 milioni di dollari l’investimento necessario per mettere in piedi questa rete di sorveglianza mondiale (laboratori, formazione di personale specializzato, reparti ospedalieri di alto isolamento).

Per fare un paragone: nell’ultimo decennio del secolo scorso le aziende che producevano protesi al silicone per il seno avevano costituito un fondo di 5 miliardi di dollari come assicurazione contro le cause di pazienti danneggiate dagli impianti. Al confronto un’assicurazione di 300 milioni di dollari contro una pandemia planetaria era sicuramente un buon affare. Ma sappiamo come sono andate le cose.

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