Siamo soli nell’Universo (senza punto interrogativo)

Quanto è probabile la vita nell’Universo e quanto quella intelligente? Oggi l’idea dominante è che non solo ci sia vita nell’Universo (e forse addirittura nel nostro sistema solare nascosta in qualche luna di Giove e di Saturno o, in un remoto passato, su Marte), ma intelligente e addirittura supertecnologica, cioè civiltà extraterrestri molto più avanzate di noi.

Ci sono varie ragioni di questo, chiamiamolo, “ottimismo ”. Nel cosmo sono state osservate immense nubi (anni luce di diametro) contenenti molecole d’acqua e di composti organici come l’acido cianidrico o la formaldeide. In altre parole le basi della biochimica, se non della biologia, sono molto comuni. Molecole organiche più complesse, addirittura circa 100 amminoacidi, sono stati identificati nei meteoriti arrivati sulla Terra (il meteorite di Murchinson caduto in Australia nel 1969 è uno degli esempi più noti e studiati).

Queste scoperte potrebbero dimostrare che i mattoncini fondamentali della vita vengono sintetizzati, con una certa generosità, nello spazio cosmico. Per non parlare delle visite delle sonde spaziali ai più diversi corpi del sistema solare, in particolare asteroidi e comete (come la recente esplorazione della missione Rosetta dell’ESA sulla cometa 67P/Churyumov-Gerasimenko) dove, nuovamente, sono state identificate molecole organiche a partire dalla formaldeide.

In breve il Cosmo sembra pullulare, se non di vita, di precursori biologici. Da qui il salto a ipotizzare la “banalità” (o “inevitabilità”) della vita e la sua straordinaria diffusione nel Cosmo. A confermare l’ ipotesi della “banalità” della vita si aggiungono le scoperte di pianeti extraterrestri che ruotano intorno a Soli lontani . Alcuni di questi corpi celesti, come il Kepler 452/b, di dimensioni solo leggermente più grandi di quelle della Terra, orbitano nella fascia abitabile della propria stella, dove cioè le temperature consentono l’esistenza di acqua liquida, condizione indispensabile alla nascita della vita.

Se si pensa che potrebbero esserci decine o centinaia di milioni di pianeti simili solo nella nostra Galassia (che conta dai 200 ai 400 miliardi di stelle) e ci sono miliardi di Galassie nell’Universo , ecco emergere un quadro che sembra giustificare ampiamente quello che abbiamo definito come ottimismo. In questo coro quasi generale alcune voci sembrano però raccontarci una storia diversa, molto diversa. Non si tratta di trovare precursori biologici, amminoacidi o molecole organiche in giro per lo spazio cosmico o su qualche macigno celeste, ma di capire come e dove queste molecole possano essersi organizzate in una struttura capace di metabolismo e di replicarsi.

Nuove ipotesi stanno emergendo (un quadro molto preciso e affascinante dello stato delle ricerche viene tracciato da Nick Lane in The Vital Question) dai lavori di numerosi ricercatori, in particolare il già citato Nick Lane, Bill Martin, Mike Russell e molti altri.

L’origine e il “brodo primordiale”

Quando si dice “origine della vita”, la prima risposta che viene in mente è “brodo primordiale”. Cioè quell’ipotesi che indica negli oceani “contaminati” da molecole organiche e altri composti arrivati dallo spazio o, più probabilmente, formatisi in particolari reazioni nell’atmosfera terrestre, come gli incubatori delle prime cellule viventi.

Un’ipotesi avanzata per la prima volta nel 1929 dal biologo inglese John B.S. Haldane e che sembrò trovare in un esperimento, di ormai più di mezzo secolo fa, una clamorosa conferma. La famosa “boccia” di Miller. Cioè il contenitore dove, nel lontano 1953, Stanley Miller, uno studente del prof. Harold Urey all’Università di Chicago, riprodusse quelle che all’epoca si pensava fosse la composizione dell’atmosfera terrestre, cioè una miscela di gas ricca di metano, ammoniaca e idrogeno.

Facendo scoccare delle scintille elettriche in questa miscela gassosa (una simulazione dei fulmini) si producevano numerose e complesse molecole organiche, fra le quali anche una ventina di amminoacidi, che sarebbero cadute negli oceani dando appunto origine al “brodo primordiale” dove in qualche modo si sarebbero ricombinati per formare i primi organismi viventi. Ma c’è un problema con questo esperimento.

Non è vero niente. Il brodo primordiale non è mai esistito. Innanzitutto l’antica atmosfera terrestre non era quella ipotizzata da Miller. I gas principali presenti in quelle epoche remote erano stati emessi dai vulcani: anidride carbonica, azoto, vapore acqueo e qualche composto dello zolfo. Una miscela che, a differenza di quella di Miller, produce, sottoposta a scariche elettriche, pochi composti organici.

Non è tutto. Negli oceani terrestri queste molecole (ammesso che fossero davvero sintetizzate nell’atmosfera o arrivassero a bordo dei meteoriti) si diluivano e quindi non avevano modo di ricombinarsi. Senza contare che nel brodo primordiale mancava un ingrediente fondamentale: l’energia. Gli oceani tendono all’equilibrio termico e ad impedire reazioni fondamentali per la vita come l’ossido-riduzione e gradienti, ugualmente indispensabili, acido-alcalini (differenze di Ph , cioè diverse concentrazioni ioni di idrogeno in termini, più semplici di protoni).

Perché possa nascere la vita serve invece uno squilibrio, un flusso di energia. I fulmini ? Anche ipotizzando tempeste continue, non erano sufficienti. Altri ricercatori hanno pensato alla radiazione ultravioletta come fonte energetica per polimerizzare (cioè formare lunghe catene) le molecole organiche cadute in mare. Ma si incontrano nuovamente problemi di diluizione, anche sorvolando sul fatto che gli ultravioletti tendono a spezzare i legami molecolari più che a formarli. Insomma l’idea del brodo primordiale proprio non funziona. E tuttavia la vita (quella batterica) è apparsa relativamente presto sulla Terra. Le più recenti stime indicano addirittura 4 miliardi di anni fa (appena 500milioni di anni dopo la nascita del nostro pianeta) . Dove? E come?

Uno di questi è farsi un’idea di quanto sia probabile il formarsi della vita e, secondo punto, della vita complessa, cioè costituita di organismi multicellulari, come gli animali o le piante. La statistica come è noto si fa su numeri abbastanza grandi. Ma di pianeti con la vita ne conosciamo solo uno, il nostro e quindi il calcolo diventa complicato per mancanza di informazioni. Nessuno sa come si sia formata la vita, le ipotesi sono varie.

È invece più sicuro che la vita si sia formata molto presto. Se la Terra è “nata” 4,5 miliardi di anni fa dalla famosa nube primordiale di polveri e gas, dopo “appena” 500 milioni di anni la vita si doveva essere già formata sul nostro pianeta. Una bella impresa considerando che per decine e forse, anche un centinaio di milioni di anni e forse più, la Terra era un ammasso di rocce fuse dove nessun organismo sarebbe potuto sopravvivere, tantomeno formarsi. Vista la relativa rapidità con cui la vita è apparsa sulla Terra potremmo concludere che, con le giuste condizioni (acqua allo stato liquido e temperature di tipo terrestre) potrebbe essersi formata anche da altre parti.

Ma che tipo di vita? Gli organismi più antichi e i primi colonizzatori del pianeta sono distinti dagli scienziati in due “regni”: “batteri” e “archea”. Esseri unicellulari che ancora oggi, dopo 4 miliardi di anni sono sempre tali. Cioè non si sono mai evoluti in organismi pluricellulari. Il vero salto nella vita sulla Terra, quello che porterà agli animali, alle piante e all’uomo avviene molto più tardi: le stime indicano fra 1,5 e 2 miliardi di anni fa. Cioè per quasi la metà della sua presenza sulla terra la vita è stata batterica e unicellulare (gli archea sono morfologicamente dei batteri anche se diversi in alcune funzioni importanti, come la replicazione). La nascita della cellula complessa, chiamata eucariota (dotata di nucleo e di organelli citoplasmatici) viene considerata un evento rarissimo, in pratica avvenuto una volta in tutti i 4 miliardi di evoluzione biologica. Forse la vita (unicellulare) non e’ rara nell’Universo, ma quella complessa (multicellulare) sembra che sia davvero “unica”.

Da più di mezzo secolo un programma di ricerche di radioastronomia il SETI Search for Extraterrestrial Intelligence) ascolta e analizza i segnali in provenienza dal Cosmo per capire se ci sia qualche traccia di emissione “intelligente”, cioè non il solito rumore elettromagnetico caotico tipico dei fenomeni naturali, ma una frequenza radio modulata da qualche essere con una tecnologia almeno simile alla nostra.

Come è noto nessun segnale intelligente è stato mai captato. Questo ovviamente non prova che altre civiltà non esistano, potrebbero semplicemente essere molto lontane. Uno strano silenzio che non è quindi conclusivo. Ci si può chiedere se esistano altri modi per decidere se gli extraterrestri siano probabili o meno.

Lascia un commento