La razionalità dell’ignoranza

“L’arma di cui si servono sia i demagoghi sia i dittatori, che spesso sono le stesse persone e coprono gli stessi interessi, è la semplificazione. Le folle non sopportano i ragionamenti complessi, vogliono risposte immediate, vogliono emozioni forti, vogliono il nemico da abbattere, il traditore da linciare, il bersaglio sul quale concentrare i colpi.”1

Così scrive Eugenio Scalfari in un suo editoriale sulla Repubblica. E al di là della specifica analisi che il fondatore del grande quotidiano italiano conduce nel suo articolo, il problema posto da questa precisa osservazione è molto più generale. Perché nelle democrazie i cittadini sono, in media, poco informati sugli affari pubblici e quindi “vulnerabili” a semplificazioni e slogan? Intendendo con “affari pubblici” i vari e complessi meccanismi di leggi, provvedimenti o progetti destinati a influire su aspetti e settori rilevanti della vita economica, sociale, civile e quindi, almeno in piccola parte, anche sul destino del cittadino stesso?

Perché è inutile nasconderselo, (e per verificarlo basta leggere qualsiasi provvedimento legislativo che affronti temi come l’energia, le infrastrutture, il lavoro, il codice civile o penale etc.) queste materie sono molto complicate e per farsene almeno un’idea, anche molto approssimativa, bisognerebbe “studiarle”, cioè dedicarci un po’ di tempo. E questo al di là delle difficoltà linguistiche, cioè del gergo “burocratese” che, almeno nel nostro paese, rende spesso illeggibili, incomprensibili e persino sgrammaticati molto testi “licenziati” dal Parlamento o proposti da altre agenzie.

Anche se fosse possibile e disponibile una traduzione limpida, chiarissima e leggibile, la materia resterebbe, nella gran parte dei casi, comunque complessa e ostica. Il problema era stato già notato da uno dei più grandi “scienziati politici”, Alexis de Tocqueville, quasi due secoli fa, nella sua grande opera sulla “Democrazia in America2”: “… il popolo non trova mai il tempo e i mezzi per dedicarsi a questo compito (cioè capire gli “affari pubblici” nda). È costretto a giudicare in fretta e a vedere soltanto gli aspetti più appariscenti. È questa la ragione per cui ciarlatani di ogni risma conoscono bene il segreto di piacergli, mentre i veri amici, il più delle volte, non ci riescono.”

Probabilmente la spiegazione di de Tocqueville è la più ragionevole e sensata. I cittadini, almeno non abbiano interessi particolari a informarsi, sono troppo occupati dalle faccende e dalle vicende della propria vita per dedicare tempo ed energia ad approfondire i complicati meccanismi della vita pubblica. Ma ci sono anche altre spiegazioni.

Le 5 “ S”.

Un’altra spiegazione, che potremmo definire “biologico-evolutiva” non chiarisce direttamente la causa dell’ignoranza degli “affari pubblici”, ma indicando cosa interessa in realtà al grande pubblico e perché, ce ne fornisce una ragione indiretta. Sangue, soldi e sesso. Con altre due “S” per così dire derivate: scandali (cioè soldi, sesso o sangue delle persone importanti) e sport (un “sangue” sublimato e addomesticato in una competizione più o meno leale, con sangue vero che però può scorrere fra le tifoserie)3.

La trita e banale ricetta giornalistica per articoli o programmi televisivi di “grande interesse” probabilmente ha fondamenta più solide di quanto si possa immaginare. Infatti sangue, soldi e sesso sono in definitiva riconducibili a fattori essenziali per la la vita. Soldi, cioè le risorse per vivere. Sangue, la capacità di difendere con le buone o le cattive quelle risorse. Sesso, la riproduzione. Se consideriamo che la nostra specie, l’Homo sapiens sapiens, è apparsa, secondo le più recenti ipotesi dei paleoantropologi, circa 200mila anni fa, dobbiamo concludere che per oltre il 90% della sua presenza sulla Terra l’uomo è stato un cacciatore e raccoglitore (la rivoluzione agricola è di circa 10mila anni fa, quella industriale di 250 anni fa).

Soldi, sangue e sesso rappresentavano i cardini della sopravvivenza e riproduzione dei nostri lontani antenati. Ovviamente “soldi” non in senso di dollari o euro, ma di “risorse” alimentari che evitavano la morte per fame. Quindi territori di caccia particolarmente ricchi di selvaggina, oppure di frutta e altri vegetali commestibili. Risorse (soldi) da difendere contro altri pretendenti-nemici (sangue) per poter assicurare anche alla propria progenie un futuro (sesso): tre pilastri esistenziali attorno ai quali ruotava la breve vita dei cacciatori e raccoglitori.

Non è difficile immaginare che la selezione naturale abbia “premiato” quei meccanismi mentali, più emotivi che razionali, che permettevano di prendere le decisioni più rapide ed efficaci su questi aspetti vitali. Un complesso sistema di risposte emotive, strategie istintive, comportamenti che nei nostri remoti progenitori assicurava la sopravvivenza è dunque ancora fra noi, perché non si cancella in 10mila anni (dalla Rivoluzione agricola per tenerci larghi o in 250 anni, dalla Rivoluzione Industriale, per essere più rigorosi) quello che è stato selezionato in almeno 190mila anni (dall’origine del sapiens sapiens, per non parlare dell’eredità di ominidi precedenti, anche loro cacciatori e raccoglitori)4 .

Autopilota mentale

Le funzioni di questi meccanismi mentali sono oggi, almeno in parte, diverse. Nei casi più estremi: ci fanno appassionare ai fatti criminali più efferati (sangue), ci inducono a comprare gratta e vinci o giocare a bingo e slot-machines (soldi) o guardare gli infiniti quiz in Tv dove si vincono piccole fortune, fanno sì che quasi la metà del gigantesco traffico su internet si diriga su siti pornografici o comunque a questo tema collegati (sesso).

Ovviamente ci interessiamo a questi temi anche per quel che riguarda la nostra esperienza personale per sesso ( i problemi più vari), soldi (il bilancio familiare, il risparmio, il mutuo, gli investimenti) o il sangue (la sicurezza). Persino i talk show “politici” in TV, che quindi dovrebbero informarci ed istruirci sugli “affari pubblici” , non ci interessano se non si concludono con una rissa o quasi (sangue). Meccanismo ben noto ai conduttori di questi programmi che, appunto per aumentare gli ascolti (cioè l’interesse del pubblico), non spiegano noiosissimi (ma fondamentali per un paese) provvedimenti o progetti, ma seminano zizzania a piene mani per far accapigliare i partecipanti.

Secondo questa ipotesi “biologico-evolutiva” le categorie mentali “soldi, sesso e sangue” formatesi centinaia di migliaia di anni fa nella più remota preistoria dell’uomo, sono una specie di “default” mentale, un pilota automatico, e ci distolgono da un’attenta valutazione dei complicati “affari pubblici”, rendendoci così vulnerabili alla semplificazione, agli slogan e ad “ogni risma di ciarlatani” come dice de Tocqueville. Come se un troglodita preistorico fosse nella stanza dei bottoni di una società ipertecnologica. Le cose stanno veramente così? Sì e no. Ci sono altre ipotesi altrettanto convincenti.

La razionalità dell’ignoranza

Due grandi sociologi ed economisti americani Anthony Downs e Mancur Olson5 propongono una spiegazione completamente diversa poiché si basa non sulle risposte emotive, ma su quelle assolutamente razionali che, in teoria, dovrebbero guidare le scelte economiche. Quale sarebbe, per un cittadino tipico, il risultato di un grande investimento di tempo ed energia per studiare i complicati meccanismi degli affari pubblici del suo paese?

Se si esclude il caso che lo faccia per mestiere, questo “investimento” in realtà non produce dei grandi risultati, cioè un “ritorno” interessante su tempo ed energia investiti. Infatti il guadagno si riduce a un voto dato al candidato “giusto”, scelto a ragion veduta e non sedotti dalle semplificazioni dei ciarlatani, alle elezioni. Ma quante probabilità ha quel voto, dato dopo una spesa di tanto tempo ed energia, di essere determinante o comunque importante? Olson, che è anche un bravo statistico, si diverte a calcolarlo.

Anche senza entrare in queste equazioni, il risultato è facilmente intuibile: nessuna probabilità. O se vogliamo essere precisi: una probabilità infinitesima di essere rilevante per l’andamento dell’elezione. Quindi considerato questo “ritorno” sull’investimento per studiare gli affari pubblici ( l’assoluta irrilevanza), è razionale essere ignoranti. Ovviamente certe notizie sugli affari pubblici possono essere interessanti in sé e quindi ci può essere qualche eccezione, ma non molte.

In certe professioni la conoscenza degli affari pubblici ha invece degli ottimi ritorni. Per politici, giornalisti, lobbysti, sociologi etc conviene sicuramente investire tempo ed energia per studiare gli affari pubblici. Più raramente questa conoscenza può permettere di arricchirsi in Borsa. Ma il cittadino medio non avrà alcun vantaggio, interessandosi agli affari pubblici. La razionalità dell’ignoranza, per la gran parte dei cittadini, si riflette poi nei media che non dedicano pagine e pagine a complessi problemi economici o ad analisi quantitative di qualche scelta decisiva per una nazione, ma ai temi (le varie “S”) che abbiamo già incontrato. Naturalmente la razionalità dell’ignoranza rende possibile la vulnerabilità a slogan, a semplificazioni e alle più diverse tecniche di persuasione. Ma attraverso quali meccanismi?

La volontà popolare

Forse la spiegazione più articolata e profonda della questione ci viene offerta da un grandissimo economista del secolo scorso: Joseph Schumpeter. Il nome, per chi lo conosce, evocherà tutt’altro argomento: in particolare le dinamiche dell’economia capitalista. Cioè la distruzione creatrice. Il cambiamento continuo che caratterizza questo tipo di economia dove l’evoluzione tecnologica distrugge i vecchi processi industriali, i vecchi stili di management, o le obsolete tecniche di distribuzione e ne fa nascere di nuovi.

Schumpeter aveva anche analizzato i meccanismi delle democrazie6 e in particolare la formazione della cosiddetta “volontà generale” o popolare che “emanerebbe” dall’intera nazione per decidere le questioni più importanti e complesse. Ma i cittadini esprimono veramente una decisione chiara e una volontà precisa e sono sufficientemente informati, si chiede Schumpeter?

Nella piccola sfera della sua vita quotidiana (lavoro, famiglia, amici, hobby, partecipazione ad associazioni, a sindacati, a chiese, al volontariato, a circoli ricreativi, etc etc), su tutte le cose, in breve, che sono sotto la sua personale osservazione il cittadino sviluppa (in media) un comportamento razionale basato su un forte senso della realtà e della responsabilità. Se, in questa dimensione “privata”, una sua azione o comportamento produce risultati negativi o non soddisfacenti, il cittadino se ne accorgerà e cambierà registro.

In media, nella sua sfera quotidiana, quindi i comportamenti sono razionali, responsabili e basati sull’esperienza. Man mano che ci si allontana da questa sfera, la razionalità, il senso di realtà e di responsabilità diminuiscono e si deteriorano. Già gli affari pubblici locali, quindi sotto una più diretta osservazione cominciano a sfuggire ad un giudizio critico e razionale e il massimo di distacco e disinteresse si raggiunge sulle questioni nazionali e internazionali.

Shumpeter fa un’eccezione a questi meccanismi di progressiva deresponsabilizzazione del cittadino. Le questioni nazionali che riguardano provvedimenti che diano un vantaggio pecuniario immediato ai cittadini-elettori. In questo caso i cittadini elettori reagiscono razionalmente e prontamente. Ma come dice Shumpeter: “… gli elettori si dimostrano cattivi giudici e persino corrotti su questi temi, e a volte pessimi giudici anche del proprio interesse nel lungo termine, perché sono solo le promesse a breve termine che funzionano politicamente ed è solo la razionalità a breve termine che riesce ad affermarsi”7.

La psicologia della folla

Il meccanismo che provoca la deresponsabilizzazione, l’affermarsi di un pensiero debole (insensibile a contraddizioni logiche e con scarsi strumenti critici) e la vulnerabilità a messaggi emotivi e irrazionali, nel cittadino che affronta temi di interesse nazionale (o internazionale) viene individuato, pur con molte cautele, nella “psicologia delle folle”. Cioè quei fenomeni che si manifestano quando molte persone si ritrovano insieme sia fisicamente, (ma anche, come vedremo, virtualmente) e, per qualche ragione, in uno stato di agitazione/eccitazione.

Il comportamento umano in queste circostanze può improvvisamente trasformarsi. Quello che è impensabile per il singolo individuo diventa possibile quando questi individui sono agglomerati in folla: la scomparsa di freni morali, di modi civili di pensare e di sentire, l’improvvisa eruzione di impulsi infantili, primitivi e criminali. Naturalmente la folla pronta al linciaggio (composta da individui che, singolarmente, non ammazzerebbero nemmeno una formica) non è il modello più adatto per spiegare il comportamento dei cittadini in una democrazia.

Ma forme più lievi di psicologia delle folle (senza il sangue) possono ripresentarsi dovunque un certo numero di persone debbano prendere qualche decisione o esprimere un’opinione su provvedimenti o progetti. Shumpeter cita le Commissioni Parlamentari, gli Stati Maggiori degli eserciti, ma anche i lettori dei giornali, il pubblico di radio o televisioni, (potremmo aggiungere di internet) possono risentire della psicologia della folla, in questo caso virtuale, e cadere vittima di pulsioni infantili e irrazionali.

In breve più ci si allontana dalla sfera privata che conosciamo benissimo per esperienza diretta e dove ci comportiamo razionalmente, più ci si ritrova “agglomerati” (il corpo elettorale o l’audience televisiva ad esempio o il popolo dei blog, di facebook o di twitter) con milioni di altri individui, in “folle virtuali” che non hanno più esperienze dirette e razionali, non sentono il bisogno di informarsi e cadono vittima di pulsioni emotive.

Come dice Shumpeter e vale la pena citarlo: “così il cittadino tipico cade ad un livello più basso di prestazione mentale non appena entra nel campo della politica. Argomenta e analizza in modi che riconoscerebbe immediatamente come infantili se applicati alla sfera dei suoi veri interessi”8 (cioè la dimensione privata, lavoro, famiglia etc).

Il pensiero debole

Come si manifesta il pensiero debole (nel senso di deteriorato)? Alcuni indizi allarmanti ne segnalano immediatamente la presenza. Primo punto: incapacità di inquadrare nelle sue reali dimensioni un problema. Cioè la mancanza dell’analisi quantitativa che permette di stabilire la rilevanza, di fare paragoni, di misurare le proporzioni, di rendersi conto della validità (in termini quantitativi) di eventuali soluzioni alternative. Secondo punto. L’incapacità di rendersi conto che un certo fenomeno è provocato da più cause. La multicausalità (e relativa complessità) è esclusa dal pensiero debole e deteriorato tipico della psicologia delle folle. Questa caratteristica è alla base dell’efficacia della semplificazione.

Terzo punto. Invece di seguire percorsi logici (peraltro già compromessi dai primi due punti) il pensiero debole manifesta tendenze associative e affettive. Cioè a giudicare una certa situazione associando istituzioni, o persone e fatti positivi o negativi (buoni/cattivi, belli/brutti), ma non logicamente collegati. Un classico esempio è quello della pubblicità delle auto che associano al mezzo meccanico una bella ragazza, possibilmente poco vestita. L’associazione auto/bella donna poco vestita promuoverà anche le vendite, ma non ha un collegamento logico.

Una pubblicità logica e razionale (ma inutile e noiosissima) elencherebbe soltanto le qualità tecniche, di sicurezza, di consumi contenuti e di prezzo ragionevole dell’auto9. Anche nella sfera politica sono possibili simili associazioni. Infine la connotazione affettiva definisce un pensiero palesemente in balia delle emozioni, delle identità e dei rituali di gruppo, del carisma dei leader, o di rabbie e rancori che, come scriveva Scalfari, hanno bisogno di trovare (complice il pensiero debole e la sua “monocausalià”) un nemico sul quale scaricare ogni colpa e responsabilità.

Ovviamente Shumpeter al termine di quest’analisi sulle prestazioni mentali, notevolmente compromesse, del cittadino che si inoltra nella sfera della politica (perdendo il senso della realtà e il pensiero critico) ha buon giuoco a concludere che “una volontà generale” o “popolare” che decida, con infinita saggezza, sulle sfide più difficili di una nazione semplicemente non esiste. C’è di peggio. Questa condizione di pensiero debole delle “masse” permette a gruppi politici , economici o ideologici di sfruttare la situazione a proprio vantaggio con opportune tecniche di comunicazione, persuasione e, come si diceva un tempo, propaganda. Ovviamente di queste tecniche fanno parte slogan, semplificazioni e anche la ripetizione. Un’arma, quest’ultima, da non sottovalutare. Perché a forza di ripeterle alla fine certe affermazioni sembrano vere.

Lasciamo la parola a Shumpeter “…la volontà popolare è il prodotto e non il motore del processo politico. I modi in cui i temi e la volontà’ popolare su qualsiasi tema vengono fabbricati sono esattamente analoghi alle tecniche della pubblicità commerciale.”10

Del resto, quando scriveva Shumpeter (fine anni ’30), i peggiori e più criminali manipolatori delle masse queste cose le avevano già capite. Una citazione dal libro maledetto per eccellenza la “Mein Kampf” di Adolf Hitler: “La capacità di comprendere delle grandi masse è estremamente modesta, l’intelligenza limitata, al contrario la mancanza di memoria grande. Dunque qualsiasi propaganda efficace deve limitarsi a pochissimi punti e a farli valere a colpi di formule stereotipate per il tempo necessario a che l’ultimo degli ascoltatori possa afferrare l’idea”11.

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1 – Editoriale di Eugenio Scalfari La Repubblica 02-09-2012 p.1 e 25.

2 – Alexis de Tocqueville “De la Democratie en Amerique” vol I, Gallimard 1986 p. 300 : “…le peuple ne trouve jamais le temps et les moyens de se livrer a ce travail. Il lui faut toujours juger à la hate et s’attacher aux plus saillant des objects. De là vient que les charlatans de tout genre savent bien le secret de lui plaire, tandis que, ses véritables amis, le plus souvent, y échouent”.

3 – Ci sono anche altre due S molto quotate giornalisticamente, speranza e salute. La speranza si ricollega nella maggioranza dei casi a soldi e sesso (anche nella sua forma “romantica”). La salute dipende, in generale, sia come stile di vita più sano (e per evitare situazioni e mestieri rischiosi) che come possibilità di curarsi, dai soldi.

4 – Sesso, soldi e sangue, nella forma generale sono in definitiva le regole della vita sulla terra. Ovviamente “soldi” nel senso più astratto di “risorse” ( soprattutto alimentari).

5 – Mancur Olson “The rise and decline of nations” Yale Univeristy Press 1982 p. 26 e sgg. e Anthony Downs “Economic Theory of Democracy” Harper, New York, 1957 (citato da Olson).

6 – Joseph A. Schumpeter “ Capitalism, Socialism and Democracy”, Harper, New York 2008 (prima edizione 1942) p. 250 e sgg.

7 – Joseph A. Shumpeter op cit p.260-261.

8 – Joseph A Shumpeter op.cit p. 262 : “thus the typical citizen drops to a lower level of mental performance as soon as he enters the political field. He argues and analyzes in a way that he would readily recognize as infantile within the sphere of his real interests”.

9 – Non è che queste considerazioni razionali siano assenti dalla pubblicità ma si trovano sempre in secondo piano rispetto all’impatto emotivo e associativo.

10 – Joseph A. Shumpeter op. cit p. 263: “…the will of people is the product and not the motive power of the political process. The ways in which issues and the popular will on any issue are being manufactured is exactly analogous to the ways of commercial advertising”.

11 – Adolf Hitler, “ Mon Combat”, Nouvelles Editions Latines, Parigi, p. 181: La faculté d’assimilation de la grande masse n’est que très restreinte, son entendement petit, par contre son manque de mémoire est grand. Donc toute propagande efficace doit se limiter à des points fort peu nombreux et les faire valoir à coups de formules stéréotypées aussi longtemps qu’il le faudra pour que le dernier des auditeurs soit à meme de saisir l’ idée.

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