“Frankly, I’d like to see the government get out of war altogether and leave the whole feud to private industry.”
Major Milo Minderbinder, Catch 22.
Silenziosa, lontana dai riflettori dei media, poco studiata da esperti e analisti militari, una grande trasformazione sta modificando il volto degli eserciti e delle forze armate di diversi paesi occidentali. Con una frase potremmo definirla “la privatizzazione della guerra”, proprio come desiderava il Maggiore Minderbinder, l’irresistibile personaggio del romanzo di Joseph Heller.
Tramontati ormai i vecchi mercenari individualisti e avventurieri, la scena è stata conquistata da altri protagonisti. Da 20 anni, dalla fine della Guerra Fredda, sono sorte numerose ditte, a volte quotate in Borsa, che offrono i più disparati servizi, tecnologie o conoscenze in campo militare.
Sono le Imprese Militari Private. Ce ne sono centinaia sparse fra Stati Uniti, Europa, Paesi dell’Est e Sud Africa con un giro d’affari di decine di miliardi di dollari. Sul mercato globale, grazie a queste imprese si può comprare di tutto non solo trasporti, logistica, infrastrutture, manutenzione di armamenti complessi, operazioni di sminamento, ma anche intelligence, pianificazioni strategiche, squadre di commando, addestramento di reparti militari, mini-eserciti e forze aeree con tanto di piloti “combat ready”.
Non si tratta solo di possibilità astratte. In Sierra Leone nel 1995 il governo di Free Town ormai quasi sopraffatto dai ribelli del RUF stipulò con la famigerata ditta Executive Outcome un contratto con il quale “appaltava” la propria difesa alla temibile Impresa Militare Privata Sud Africana. In pochi mesi i ribelli vennero sbaragliati dal piccolo ma efficiente esercito privato e il distretto diamantifero di Kono riconquistato. Probabilmente una concessione per lo sfruttamento di quel giacimento faceva parte del contratto fra E.O. e il governo di Free Town.
Un altro esempio, senza allontanarsi dall’Europa.
Nel 1995, in piena dissoluzione della federazione Jugoslava, i nuovi Stati autoproclamatisi indipendenti, come la Croazia, non disponevano di forze armate proprie ma solo di milizie raccogliticce e della polizia locale. Mentre l’esercito Jugoslavo dominato dai Serbi, poteva contare sia su truppe addestrate, sia su armi abbastanza moderne. Difendere l’indipendenza da poco acquistata non era semplice. I Croati subirono varie sconfitte ad opera dei Serbi. Poi nella primavera del 1995 tutto cambiò.
I Croati lanciarono un’offensiva, chiamata Operazione Tempesta, condotta con una professionalità e un’ efficienza da manuale. I Serbi non solo vennero sconfitti, ma i Croati, con l’aiuto dell’aviazione della NATO, riuscirono a penetrare in Bosnia rovesciando completamente le sorti della guerra. Dopo 4 anni di inutili tentativi la pace era possibile.
Cos’era successo? Analisti e studiosi ritengono che il Governo Croato abbia, per così dire, appaltato l’addestramento e la preparazione delle proprie sgangherate milizie all’MPRI (Military Professional Resources Inc., una Impresa Militare Privata americana con migliaia di impiegati e contratti miliardari in quasi tutti i continenti), e che siano stati proprio gli istruttori e gli specialisti dell’MPRI a trasformare un’armata Brancaleone (rag-tag militia) in un temibile esercito di tipo occidentale.
Ma non sono soltanto gli Stati deboli e vacillanti che ricorrono a queste imprese. In Iraq il secondo contingente per forza numerica dopo gli americani non sono stati, al culmine del loro impegno, gli inglesi con circa 10.000 uomini, ma le Imprese Militari Private con quasi 15.000. Sotto contratto con il Pentagono, il Ministero della Difesa Inglese, Organismi Umanitari o multinazionali, queste ditte si occupavano un po’ di tutto. Dalle mense delle basi militari ai trasporti, dalla protezione degli impianti petroliferi all’addestramento della nuova polizia o del nuovo esercito iracheno (o oggi afgano), dalla manutenzione di ogni genere di armamento alla scorta di personalità politiche o di convogli umanitari.
Un ultimo sconcertante esempio può farci capire quanto sia rischioso giudicare affrettatamente questo imponente fenomeno. Nel 1994 la notoria Executive Outcome mise a punto un piano di pace per il Ruanda (cioè un intervento militare), per evitare il genocidio che poi si sarebbe verificato.
Costo dell’operazione, che prevedeva la creazione di “zone sicure” dove far rifugiare le popolazioni a rischio: 600mila dollari al giorno. Costo totale dell’intervento: 150 milioni di dollari. Né l’ONU, né gli Stati Uniti si interessarono all’offerta. Né d’altra parte furono in grado di organizzare un intervento per conto proprio. Il risultato è noto.
Ma come alcuni analisti hanno suggerito, persino le Nazioni Unite potrebbero, in futuro, ricorrere ai servizi di queste ditte, in casi disperati quando altri tipi di intervento, per motivi politici, dovessero rivelarsi troppo difficili o lenti da realizzare.
Un insieme di fattori economici, geopolitici, tecnologici ha reso possibile il sorgere di queste imprese. La spinta a contenere i costi appaltando all’esterno (outsourcing) compiti non essenziali e a privatizzare funzioni un tempo spettanti allo Stato (tendenza visibile anche in altri settori come sanità, istruzione, trasporti, telecomunicazioni etc). La disponibilità di personale militare altamente addestrato che, dopo la Fine della Guerra Fredda, si è trovato improvvisamente disoccupato a causa della riduzione dei grandi eserciti delle due Superpotenze e dei loro alleati. Per lo stesso motivo cavarsela da solo senza grandi protettori alle spalle.
Naturalmente la privatizzazione, anche parziale, del monopolio della forza pone, inutile nasconderlo, notevoli problemi. Da almeno due secoli a questa parte (dalla costituzione dei Grandi Stati Nazionali) la forza militare è stata impiegata dai Governi per la difesa dell’“interesse nazionale”, cioè per garantire la sicurezza e il benessere dei cittadini. Le Imprese Militari Private impiegano la forza (o le conoscenze e le tecnologie per applicarla con efficienza) per far guadagnare un profitto agli azionisti o ai proprietari, quindi in una logica economica completamente diversa dall’“interesse nazionale”. Dove può portare questo nuovo sviluppo del settore militare?